SIZIGIA

quattro movimenti 

Altair

Ciparisso

Ore

Siloe

 

 

“Le parole del Signore sono parole pure,
argento separato dalle scorie nel crogiuolo,
raffinato sette volte.”
Salmo 12 (11), 


“Ora delle nascite,
che partorisci con doglie, in cui si forma
la prima costola di un altro uomo.”
Nelly SachsNelle dimore della morte

 

 

a Sophie

a Spasoje

mai saranno separati

*

   Syzygía dal greco συζυγία, unione (composto da σύν, syn insieme, e ζυγόν, zygón giogo). Per metatesi eufonica, sigizia.
   In astronomia, una sizigia è una configurazione in cui tre o più corpi celesti (solitamente, Sole, Terra e Luna) sono disposti lungo una linea approssimativamente retta, formando un allineamento in cui si congiungono o si oppongono.
   Alchemicamente, una sizigia è la coniunctio oppositorum, congiunzione dei contrari, il cui simbolo è lo Hieròs Gámos, Sacre Nozze.
   Secondo gli gnostici, la sizigia è una coppia androgina di Eoni complementari.
   In quattro movimenti (tra combustioni, dissoluzioni, coagulazioni e sublimazioni), le parole plasmano, ritmano e sostanziano la mia solare sizigia: l’Io-Cristo.

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero.» Mt. 11,28-30:

 

 

 

 

Donarsi.

Rarissima intuizione

che riversa nel fuori

pienezza e libertà.

Come pietra addormentata

—desta—

di fronte alla Luce. 

*

È calore la tua mano.

Posala sul mio capo

perché il pensare sia già amore

prima ancora di esistere

e la volontà il suo morire.

*

Altre profondità

dopo acque instabili come emozioni.

Altre intuizioni

quell’essere — TU — dentro

e IO con Te.

IO in IO.

Mi hai fatto risalire

per immergermi, di nuovo

— sempre più—

nella sorgente del silenzio

tenace come una radice

e vera come la tua parola.

*

Perché da ogni tenebra incontrata

una luce scaturisce.

Fa muto ogni fisso dolore

e muta in altra luce

suscitata

come dono.

Sorgono le trasparenze

— sigizie di IO —

e la vita

risorta

s’acquieta nell’Oltre.

*

Hai aggiogato la mia parola alla tua

— sigizia di folgore.

Un riverbero

e l’hai ridotta a vuoto

da riempire di nuovo.

Come un pensare dagli occhi

e lacrimare luce.

*

Anche senza quei chiodi

non saresti sceso.

Bastavano corde

ma tu inchiodavi la tua volontà alla Sua

fino alla fine

— tellurica sigizia.

Come l’occhio

ferita aperta che geme a troppa luce

tu

totalmente aperto

totalmente Suo.

*

Di mitezza il tuo ultimo respiro

che esalando trasformava il male in Bene.

Lì, appeso

il tuo amore sapeva che non ti avremmo ucciso

se solo…

Ma non sapevamo

chiusi nella nostra egoità

a crocifiggerci dentro.

Hai pensato a tutto

mentre il cuore

— una mano inchiodata all’oblio

l’altra al ricordo —

il cuore perdonava.

*

PREFAZIONE


Osare il Presente dell'Eterno.
Poesia come Alchimia

Salvatore Lavecchia

    Esistono ancora Anime che osano il Presente dell’Eterno? 

 Di fronte all’odierno dilagare d’innumeri percorsi qualificati come spirituali, al diffondersi di multiformi fenomeni intesi quali illuminazioni, moltissime persone risponderebbero “Eccome! Oggi, forse, mai come prima!”. Ma è davvero Presente dell’Eterno, in ogni dimensione del nostro essere, quanto stimola tale e simili risposte? La quasi totalità dei percorsi e dei fenomeni appena evocati appare generata, infatti, da una brama – tanto più profonda e magnetizzante quanto meno cosciente – di sottrarre Senso d’Eterno alle dimensioni più semplici ed immediate, più quotidiane del nostro sperimentare: alla quotidiana, feconda e fecondante terrestrità manifesta tramite l'umile, eppur – specie per chi ne sa e vive la radice e fonte ultima – potentissima e trasmutante opera dell’umano organismo dei sensi; all’umile, inesauribilmente generativa trasparenza dell’umano io fenomenico, che – lungi dall’essere un sempre tracciabile e condizionabile punto rappreso in se stesso, e dunque separato dal mondo –, nel manifesto mistero di una miracolosa Sinfonia con quell’organismo, operando come illocalizzabile centro/sfera di Calore e di Luce, apre per noi esseri umani l’unica autentica Soglia orientata verso la Libertà, fecondando il nostro libero pensare e comprendere; all’umano pensare e comprendere, preconscia prolessi d’autentico Amore verso il mondo, e perciò prima radice di quella triunità di pensiero, sentimento, volontà che partorisce l’Amore nella Libertà. In sempre maggiore, più o meno consapevole sinergia con le magnifiche sorti e progressive della rivoluzione digitale, con sempre più sollecita concitazione il sempre più vasto ‘mercato della spiritualità‘ si  affretta a ritrarsi dall’umile essere della terrestrità (humus, humilis...), per proiettare l’umano verso fantasmagoriche turboilluminazioni, sempre più mediate da ‘maestre/i‘ che, con alterigia verso l’arcaico “da bocca ad orecchio”, distribuiscono patenti e certificati di virtù virtualiniziatiche. In questo orizzonte, la scissione fra interiorità ed esteriorità, fra coscienza ed essere, generata dall’immagine corrente dell’io – “io sono qui, il mondo è lì, fuori di me” –, sempre più endemica e patologica nel nostro presente, si approfondisce sempre più, e si ergono cattedrali mentali e psichiche tanto più radicalmente, disperatamente dualistiche quanto più si vaneggiano beatamente monistiche. Non può che risultarne: né l’io né il mondo si fanno Presente dell’Eterno, rischiando, così, entrambi, un definitivo degradarsi a waste land.
  Di fronte a questi scenari gli scritti di Irene Melito – tanto i suoi romanzi (Rosvita e Il profumo dei tulipani) quanto le sue raccolte di versi (Chalil e Sizigia) – generano profondo sollievo, come un salutare balsamo, tanto più salutare quanto più gentile, onesto, umile, e pertanto sanamente, incondizionatamente donativo è il gesto della persona, dell’Anima che lo produce: operano come un Rimedio che può aiutare a sanare l’abissale ferita che separa io e mondo, interiorità ed esteriorità, Terra e Cielo. E nel loro panorama Sizigia si rivela paradigmatico condensarsi di questo risanante operare, di quella forza inesauribile ed invincibile che è il Dono d’Amore: Donarsi. / Rarissima intuizione / che riversa nel fuori / pienezza e libertà. / Come pietra addormentata / —desta—/ di fronte alla Luce – “Amare e Servire” è, in altri scritti, il condensarsi in parole di questo Donare. Un Donare che è Dono di Senso ad ogni dimensione dell’esperienza, e perciò Presente dell’Eterno fin nella terrestrità più apparentemente lontana dalla coscienza: fin nella più umile mineralità, che non è mera inorganica inerzia, ma è addormentata, e dunque può destare la propria pienezza nell’essere accolta dalla Luce di una coscienza donante Amore.       Coscienza che Irene Melito in Sizigia non esita a manifestare e qualificare come Cristica, in un sapiente movimento quaternario, ad opera del quale la nera quaternità della croce strumento di tortura si trasmuta nell'aurea Tetrade dell’Albero della Vita, di una Terra e Vita Nova. Movimento che non esclude alcuna dimensione della coscienza e dell’essere, fino a volere nell’Amore l’esperienza del più abissale dolore, della più lacerante ferita, che grazie all’Opera trasmutante si trasfigura in grembo d’accoglienza e ri-generazione della terrestrità, fin nelle sue dimensioni più apparentemente separative. Movimento Cristico perché archetipicamente alchemico, ossia trasfigurativo, fotistico fin nei recessi più abissali della mineralità: Hieròs Gámos, Sacre Nozze, nelle quali gli opposti, in somma coscienza di Veglia dell’Io, nel vero Amore si congiungono e partoriscono reciprocamente, senza annientarsi, e senza essere annientati da un molochico Uno patrigno; Nozze generanti un invincibile Presente dell’Eterno, che nessuna mineral morte potrà più oscurare, perché Nozze eternamente integrate nel Calore e nella Luce della Sapienza, Bellezza, Forza del Risorgere. Nozze di cui la Catabasi del Cristo nella Terrestrità, vale a dire nell’Anima Umana, è Inizio, Medio e Fine. Dove il Cristo non è, qui, astratta rappresentazione da manuale di dogmatica, non è prigioniero di orizzonti correntemente confessionali, ma si rivela sommo Intelletto, Lógos d'Amore che, come il vedico Poeta del Tutto – il Vishvakárman di Rig-Veda X 81 –, celebra, quale originaria, sommamente creativa Intelligenza e Parola, il supremo ed originario Rito eternamente unitivo di Cielo e Terra.
   Poeta del Tutto è il Cristo, che segue fin nelle più abissali profondità il cammino percorso dal frutto della sua cosmogonica Poesia, del suo Lógos, della sua Parola creatrice, sposando l’Anima Umana fin nel suo più inchiodante compenetrarsi della più petrosa, pietrificante mineralità. Cammino a partire dal quale, per noi, nel nostro presente, nel presente di ogni io fenomenico, ogni percezione sensibile, anche la più apparentemente banale, può farsi Cristica Alchimia. Cammino che, però, tutto è fuorché convenzionalmente trionfale, implicando il volontario profondarsi nel più abissale dolore: non per un narcisistico inscenarsi sofferenti, ma affinché anche i più reconditi abissi animici possano indiarsi, e l’anima risorgere come Anima Icona della Sophia partoriente, genitrice del vero, Cristico Io. Di tale profondarsi le parole di Irene Melito sono in molti luoghi, fuori da ogni imbarazzante sentimentalismo, immagine gentile, onesta, semplice, e perciò genitrice di risanante commozione: generatrici di feconda trasmutazione in chi vuole percepire il silente, umile invito che porge il loro operare, ovvero l’invito a farsi, mediante il proprio Io, irripetibile immagine dell’Opera generata dal Poeta del Tutto, dal Cristo, Origine e Fonte ultima d’ogni autentica alchimia.
   Immagine della Sophia che risana siamo invitati a farci: a ri-generarci, in forma del tutto individuale, come Sophia del Cristo che guarisce e salva l’Anima Umana; dunque come Sophia manifesta anche in ogni Anima che riesce a celebrare le Nozze Alchemiche con un’altra Anima, restandole unita nel Presente dell’Eterno, in ogni vita, in ogni istante, nella gioia e nel dolore, al di là di ogni apparente separatività nello spazio e nel tempo.

   Di questa Sophia, Cristica perché sommamente umana – e dunque sommamente drammatica –, Irene Melito osa voler rendere icona le proprie parole, lungo tutto il solare percorso dei quattro movimenti di Sizigia. Icona gentile, onesta, umile, e per questo feconda per chiunque voglia percepirla con la medesima, gentile ed onesta trasparenza mediante la quale l’io fenomenico incontra le percezioni sensibili, se lasciato libero nella spontaneità del suo poter manifestare Libertà ed Amore. Umile icona del Cristo, parola viva / che sboccia fra le rose, e dunque Eterna Aurora di Vita. Eterna come ogni gesto che, anche nel quotidiano più faticoso e doloroso, soavemente ricco di Grazia, incarni il sofianico motto “Amare e Servire”.

   24 Febbrario 2024, genetliaco di Giovanni Pico della Mirandola, Conte di Concordia.