"In ogni parola brillano molte luci"

Zohar, III, 202 a

 

"Possa la rosa sbocciare ogni anno. Possa Orfeo rinascere in ogni generazione. Possiamo noi riconoscerlo se per ipotesi fosse tra noi."

Yehudi Menuhin, L'Arte: Speranza dell'umanità

 

"...la parola, che è come un più profondo e superiore respiro proprio del centro dell'essere, o di un essere il cui centro risiede in se stesso... E c'è il silenzio, il silenzio che si fa come un vaso atto a ricevere la parola definitiva e a custodirla senza che svanisca né si versi, a far sì che permanga senza passare..."

Maria Zambrano, Dire luce

 

 

CHALIL, peQuod 2023 

 

"...A ciascuno la sua parola.

A ciascuno la parola che gli si fece canto" 

(Paul Celan, Argumentum e silentio)

 

a Sofia e ai suoi figli

 

Ho sete.

Di lacrime divenute acqua.

Di pianti mescolati ai dolori del parto.

Di rugiade e fiori adagiati sui volti.

Di fiumi ridati alla sabbia.

Ho sete di un silenzio vero

da udito a udito

come fiamma cristallina che dorme nei rami.

 

 

In luoghi intagliati nel tempo

dimoriamo come illusioni

come impulsi d'amore assopiti

fili di vita aggrovigliati.

Ma libertà è un passo

il tonfo di un velo caduto

l'umiltà di una mano che sgroviglia.

 

 

Pulsano parole dai tuoi occhi.

Parole di luce sgranate

e di stupore.

E cadono talvolta come stille

spezzandosi in sillabe orfane di senso.

Ma profonde

se volteggiano nell'armonia di sguardi

e tuttavia non dette

ma incise all'incontro

di chi si cerca.

 

 

Ogni volta in cui accado.

Ogni rientranza che divento

solco

latitudine dimenticata - no

non dimenticata ma

irraggiunta.

in un tempo sgranato

m'incontra il risveglio. 

 

 

 

Dormono

la notte

le parole

sospese

come fili di vento.

Soffia il silenzio nelle fessure della luna

- croglioli d'argento

varchi

filamenti -

verso un tempo che ci osserva.

Già s'addensano visioni e rugiade

nei suoi occhi.

Ma tutto tace.

E' ancora presto per l'aurora.

 

 

 

Impigliati nel vento

in un germoglio

una sorgente

- il fiore di qualcuno.

Si dilatano le luci

oltre la polvere

a toccare le stelle

e i semi delle rose

che conoscono i nomi di ciascuno.

 

 

Persevero nell'essere

tra esodi che inverano

propaggini di luce.

 

 

 

 

Chalil, il flauto (minore) ebraico. 

Primo movimento: Or. La prima parola pronunciata da Dio è or, luce, con la quale chiama il cosmo ad esistere. Non è ancora il chiarore degli astri, ma uno splendore sconfinato e indiviso di cui fanno parte anche le tenebre. Nella letteratura zoharica, la luce suprema è attributo della sefirah della corona (Keter): "la luce primordiale, luce brillante e limpidissima...al cospetto della quale nessun fulgore risplende, poiché tutti davanti a essa s'oscurano". Da questa somma luce, per emanazione, procedono le altre sefirot, cadendo fino a sfiorare il regno della materia (Malkut) con l'inconsistenza di un riflesso.

La luce è, così, metafora del ritorno: camminando verso l'alto seguendo il sentiero della luce, scintilla dopo scintilla,  l'uomo si riappropria della sua condizione originaria, lo splendore archetipico da cui è disceso. 

Secondo movimento: Demamah. A differenza di seqet (il silenzio inconoscibile e onnipervasivo che accompagna la teofania divina o la morte), demamah è la melodia cosmica in cui si celano voci, bisbigli, sussurri: Qol demamah daqqah (1 Re 19,12) è 'voce sorda sottile', il sussurro udito da Elia dopo un vento impetuoso, un terremoto e un fuoco. Il Signore non era in nessuno di essi ma, all'udire quella voce di silenzio sottile, il profeta si coprì il volto con il mantello.   

Il silenzio, secondo Maimonide, è l'unico attributo predicabile di Dio che contiene tutti gli altri. Già Ermete si rivolgeva a Dio come inesprimibile, ineffabile e definibile solo col silenzio:

"Quando tu non potrai dire più nulla di Lui, allora lo vedrai; poiché la conoscenza di Dio è divino silenzio e cessazione di ogni sensazione" (Asclepius)

La luce e il silenzio sono i movimenti (non moti fisici, ma dinamiche e vibranti epifanie armoniche) cui - in aperture dell'essere verso dentro e verso fuori - attingo parole da far risalire in superficie, dove cristallizzano e muoiono, liberando voci, suoni, visioni. 

Ho scritto Chalil tra il 2005 e il 2015, nella quiete di un mio rifugio in Alta Langa e nella luce rosa di Assisi, dove abitavo. È il primo 'atto' di un trittico.